Salt of Life

19 Dic 2020

A Natale siamo tutti più buoni

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Ebbene no, io no! Quest’anno a Natale non sarò buono. Sarò cattivo.
Anzi: cattivissimo!
Mica ci avete creduto? Spero di no. Ho preso spunto da questo proverbio dedicato alla prossima ricorrenza festiva, per focalizzare l’attenzione su come sia facile scivolare nei luoghi comuni. Parlare del Natale può essere scontato, ma non quest’anno. Perché aldilà delle “direttive” che si contraddicono e che ci destabilizzano – mappe colorate comprese – sarà comunque diverso dagli altri. 

Lo ammetto, non sono più un fan del Natale. Probabilmente perché ho smesso di credere a Babbo Natale da alcuni lustri e non approvo il modo in cui si è trasformata questa ricorrenza.
Troppo spesso ridotta a una maratona consumistica o una recita scolastica artefatta.
Dai magheggi logistici per ricompattare alla meglio un nucleo familiare che barcolla come un funambolo su una corda lassa. A quelli per mantenere il sorriso gioviale a tutti i costi. Posticcio e inespressivo come il Botox inoculato da un maldestro estetista.
Quest’anno lo passeremo con pochi intimi per cui, quale ghiotta occasione per creare una perfetta sintonia di anima e cuore.

Approfittiamo di questo Natale (blindato) e trasformiamolo in un’opportunità: vivere la ricorrenza gustandone il significato profondo.

Se qualcuno di voi ha qualche ruga sul volto come me, si ricorderà di quando le mamme preparavano i biscotti di pastafrolla colorati con la glassa, da appendere sull’albero di Natale. Tagliato di fresco – per chi abitava in campagna – o comprato al vivaio da chi abitava in paese.
O le nonne che impastavano a mano uova e farina, e poi tiravano la sfoglia per preparare i cappelletti di magro. Da mangiare in brodo la sera della vigilia.
Gesti semplici densi di significato. Compiuti con premura dalle persone che ti volevano bene. E questo fa la differenza.

Ecco il motivo dell’incipit diretto e tagliente.

Troppo facile essere buoni a Natale. Se vuoi essere buono – nonostante tutto e nonostante tutti – lo sarai comunque.

Non solo a Natale. Altrimenti, come dice lo slogan: Ti piace vincere facile!?

Per avvalorare la mia tesi prendo a prestito le parole del dottor Giorgio Calabresi: Nutrizionista e Divulgatore, come ama definirsi. Il quale durante una puntata della trasmissione La prova del cuoco – capostipite indiscussa dei programmi culinari e ispiratrice di innumerevoli show analoghi, che ora imperversano su tutte le reti a qualsiasi ora del giorno della notte – disse: “Non si ingrassa da Natale a Capodanno ma da Capodanno a Natale”.

È vero, la cucina ha un posto di rilievo nella vita degli Italiani ed è diventata un eccellenza in molti paesi esteri. Nonostante chi dovrebbe promuovere il nostro paese, non ha la stessa dedizione e lo stesso impegno di chi sta dietro i fornelli.

Tuttavia, c’è una netta differenza tra gustare l’equilibrio degli ingredienti di una pietanza preparata ad arte e ingurgitare il cibo solo per riempire la pancia.

Quando parlo di tornare all’essenziale non intendo per forza che bisogna scegliere una vita di privazioni, o abitare il quotidiano come le ultime austere Clarisse, riparate nel Monastero di Oristano. [Che tra l’altro si sono modernizzate e hanno pure aperto un sito Internet. Ndr]

Si può dare un valore simbolico e festoso al compleanno di Gesù, senza perdere di vista il suo autentico significato.

Non necessariamente religioso ma spirituale. Una percezione più ampia che ci connette con la vibrazione della nostra anima. Quella stilla luminosa che brilla dentro di noi.

Prendo spunto per raccontarvi di una suggestiva tradizione di Candelara. Un piccolo borgo di 1200 abitanti in provincia di Pesaro Urbino.
Dove dal 24 novembre al 16 dicembre le stradine sono illuminate dalle fiammelle delle candele, poggiate sui davanzali esterni delle finestre.
A testimonianza che tante piccole fiammelle rischiarano il buio della notte.
Un rito da proporre ad altre località del bel paese. Magari non proprio agli abitanti di Torbole – grazioso borgo sulle rive del lago di Garda e gotha dei surfisti – dove Ora e Pelèr soffiano senza posa da mane a sera…
Ma non è detto. Alla peggio i lumini si possono posare sul davanzale “interno” delle finestre di casa. Con l’accortezza di lasciare aperte le tende.

A proposito delle tradizioni natalizie: cosa preferite. L’Albero o il Presepe?

La disputa dei campanili vuole che in Italia ci siano due fazioni. Gli abitanti del Nord tendenzialmente preferiscono l’Albero, mentre il Presepe è scelto dagli abitanti del Sud. Anche se con i nuovi flussi e le migrazioni degli ultimi anni si sono mischiate le carte. Così per buona pace c’è chi li fa entrambi.

Comunque sia, l’addobbo ha un suo fascino. Spezza la monotonia del quotidiano e ci ricorda che stiamo vivendo un momento speciale. Basta non fermarsi a quello e saper andare oltre.

Perdonate l’irriverenza però, ancora sorrido pensando a una coppia di coniugi del mio paese, che aveva preso un po’ troppo alla lettera il modello francescano.
I beninformati raccontano che la coppia praticava con tenace diligenza la frugality choise. Che allora – con meno classe – si chiamava taccagneria.
Il colmo lo raggiusero quando dissero ai vicini che per le feste natalizie sarebbero andati in vacanza. Invece restarono tappati in casa per dieci giorni.
Con le luci spente e le imposte chiuse per non essere smascherati.
Non oso immaginare gli artifizi escogitati per evitare che il rumore dello sciacquone destasse qualche sospetto da parte dei vicini….

Ma il destino impietoso volle che dopo anni di spilorcia quotidianità, nel giro di un mese morirono tutti e due.
Prima lui e poi lei – ovviamente – come vuole l’usanza.
Lasciando una cospicua eredità ai loro nipoti, che ancora brindano alla loro salute…. Si fa per dire!

Peccato che Jean de la Fontaine sia morto da secoli. Altrimenti sarei tentato di mandarlo in Bertolla*. Lui e le sue favole didattiche!

 

*Bertolla: Borgo della periferia torinese dove per tradizione si inviano le persone poco gradite.  Me ne scuso con i residenti, anche se non ho colpa.

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