Salt of Life

7 Mag 2020

Resistenza o Resilienza

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Resistenza o Resilienza: opporsi al cambiamento o spiegare le ali verso il nuovo.

Le due parole a confronto che ho scelto oggi, Resistenza o Resilienza, sono state suggerite da un proverbio cinese di cui riporto il testo: “Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”.

Dalle mie origini piemontesi – forse addirittura sabaude considerando l’educazione ricevuta – ricordo un monito che la mamma mi ripeteva spesso:
non si sa mai un domani!
E io, figlio ribelle e poco incline a subire i dettami materni, rispondevo: mamma, se non sappiamo come sarà domani, perché non cominciamo a vivere bene oggi? Magari aiuta.

Allora ero un ragazzino imberbe, però anche oggi che sono un adulto navigato, darei la stessa risposta. Consapevole che in questo momento storico l’incertezza del futuro spaventa, e l’abusata frase “andrà tutto bene” addirittura mi infastidisce.
Una cosa è certa: da ora in poi il futuro sarà diverso dal passato. Però il futuro può essere altrettanto avvincente se si ha il coraggio di accogliere il cambiamento, avendo “la capacità di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà”. Concetto che in psicologia prende il nome di Resilienza. 

Forse, per chi è disciplinato, il cambiamento può significare la poca determinazione nel perseguire l’obiettivo. Tuttavia quando la Resistenza, intesa come la tenacia che si contrappone all’abbandono dell’impresa di fronte alla prima difficoltà, si trasforma in testardaggine e non prevede alcuna modifica dell’azione, il concetto è ben diverso. In questo caso non si tratta di resistere fino allo stremo: come il Comandante che lascia per ultimo la nave in avaria. Qui si tratta di un’inutile contrapposizione allo scorrere degli eventi.

Perché è la Resilienza che alimenta il genio creativo, che sfocia nell’azione virtuosa.

E… visto che oggi sono in vena di confidenze – cosa piuttosto rara per me – vorrei raccontarvi un fatto che rende ancor più chiaro il concetto.
Anche se in questo caso, per chiarezza lessicale, dovrei parlare di
serendipità.
Il racconto ha come protagonista un prodotto dolciario che tutti conoscono: la Nutella. Si, la Nutella Ferrero! Nata da uno “sbaglio” che Michele Ferrero trasformò in un’occasione d’oro (è proprio il caso di dirlo) grazie alla sua arguzia imprenditoriale.
A me lo raccontò papà; coetaneo e amico di Michele fin dalla giovinezza.

Era il 1925. Pietro Ferrero, il padre di Michele, aveva inventato un panetto di cioccolato da tagliare a tranci, per essere messo tra due fette di pane.
Però il panetto era troppo duro da tagliare per cui, nel 1945, Pietro aggiunse all’impasto del burro cacao per renderlo più morbido, e delle nocciole per addolcirne il sapore.
Nacque il Gianduiotto. Così chiamato in onore alla maschera di Torino. Il successo fu immediato, soprattutto perché piaceva molto ai bambini.

Tutto andò a meraviglia finché nell’estate del 1949, quando al timone dell’azienda arrivò Michele Ferrero, successe l’irreparabile.
A causa del caldo torrido i panetti cominciarono a sciogliersi, diventando una specie di crema densa. Michele però, con la forza indomita dei suoi 24 anni, non si perse d’animo e trovò un’alternativa.
Anziché fermare la produzione, decise di mettere quella crema dentro dei bicchieri di vetro e li regalò ai bambini alloggiati nelle loro Colonie Estive. Fu un successone!

Ora, rileggendo l’aneddoto mi domando: come potrei trasferire su di me la dinamica resiliente per “allungare” il mio metro e 60, che fino a qualche tempo fa era esaltato dal podio e ora non lo è più?
Anche io potrei adottare la serendipità o l’edulcorazione: strategia tanto cara al popolo italiano, in cui è maestro indiscusso.
Ad esempio: potrei definirmi “diversamente alto”. Oppure sostenere che sono “grande dentro”.
Però, nella seconda ipotesi, è bene che mi procuri di un paio di radiografie “total body” a testimonianza asseverata che non ve la sto raccontando!

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